Progetto Radici

Critica.

Le radici, intime amanti dei substrati di Madre Terra, assumono naturalmente sembianze animali, umane, trascendenti e trascoloranti. Allegoricamente esse assurgono ad emblema sacro dell’esigenza insopprimibile e perseverante della coscienza umana: il male che segue il male, quale kantiano imperativo categorico. Le radici vengono ad essere pilastri della struttura naturale riflettente quelli che sono gli istinti antropici naturali: l’albero. L’albero, come l’uomo, è in grado di sopravvivere e resistere alle avversità; esso plasma la propria forma adattandosi all'ambiente e adatta la propria crescita alla direzione in cui riesce a cogliere più luce, a modellarsi in base al vento. Le radici, vive e palpitanti, lo sorreggono facendo sì che esso lenisca la stanchezza del viaggiatore con la sua ombra, nutra donando i suoi frutti, soddisfi la sete di requie e di piacere con le sue forme e la sua tacita presenza, offra energia vitale donandosi nel fuoco. Le radici sacre del cosmo, infime in una natura primigenia, concorrono ad “anima mundi”: vitalità della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo vivente. Plotino, uno dei più importanti filosofi dell'antichità, erede di Platone e padre del neoplatonismo, concepì l’esistenza in maniera del tutto analoga alla funzione della radice: come un essere vivente morirebbe, qualora venisse spezzato, così la radice, se ricomposta, costituirebbe tuttavia la morte dell’albero nella sua interezza. Nelle opere di Lucia Paese assistiamo ad un fenomeno quasi animistico in cui le radici, benché componenti meramente terrene, inglobano qualità divine e soprannaturali assumendo fattezze mostruose, tese a suscitare nell’homo videns, tramite un meccanismo analogo ai princìpi dell’Arte barocca secentesca, la meraviglia, lo stupore davanti all’inaspettato; ecco perché, è possibile scorgere, spesso senza una marcata fantasia immaginativa, teschi, serpenti, volti umani, simboli mistici, corpi che si avviluppano suggerendo un dialogo “nel luogo e con il luogo" che incarna metaforicamente il ribellarsi all’intervento selvaggio dell’uomo sulla natura.